Travolse e uccise un carabiniere: condannato
All’aiuto cuoco, che ammazzò il militare guidando ubriaco, inflitti otto anni per omicidio stradale e uno per omessa assistenza
È stato condannato a 9 anni, 8 per omicidio stradale e uno per omessa assistenza (l’accusa, pm Raffaella Latorraca, aveva chiesto 9 anni e quattro mesi) Matteo Colombi Manzi, l’aiuto cuoco 35enne di Sotto il Monte che nella notte tra il 16 e il 17 giugno 2019 aveva travolto e ucciso l’appuntato scelto dei carabinieri Emanuele Anzini, 42 anni, originario di Sulmona. In forza al Radiomobile della Compagnia di Zogno, quella sera in servizio a un posto di controllo a Terno d’Isola.
Colombi era al volante della sua Audi A3, guidava ubriaco, cinque volte sopra il limite. Lui ha sempre sostenuto di non avere visto la pattuglia perché distratto e perché i lampeggianti sarebbero stati spenti. E solo dopo diversi chilometri aveva realizzato che forse aveva colpito qualcuno ed era tornato indietro. La sentenza è stata pronunciata ieri dal gup Massimiliano Magliacanl con rito abbreviato, che consente la riduzione di un terzo della pena.
Riconosciuta anche una provvisionale di 80mila euro per i parenti della vittima. Presente in aula l’imputato, assistito dall’avvocato Federico Riva, che ha già annunciato l’appello. Rivolgendosi ai familiari del carabiniere – che si sono affidati a Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in casi di omicidio stradale – la figlia Sara, la sorella Catia, e la compagna della vittima Susanna Pagnotta (assistiti dall’avvocato Francesca Pierantoni) Colombi ha detto: “Sono distrutto, disperato per quello che è successo. Da quel giorno anche io non vivo più”.
La figlia del militare ha rilasciato questo commento: “Auspico che pene cosi severe possano fare da deterrente affinché in tanti evitino di porsi alla guida sotto l’effetto di alcol e droga”. E prima dell’udienza la compagna del carabiniere, Susanna Pagnotta, ha dichiarato: “Mi aspetto che Emanuele abbia giustizia”.
A processo si sono costituite parti civili anche due associazioni (che hanno avuto un risarcimento di mille euro), quella della Polizia stradale e l’Associazione italiana familiari vittime della strada (Aifvs). Presente il presidente Alberto Pallotti: “Noi non vogliamo vedere persone marcire in carcere, ma siamo per le pene giuste, come questa. Avrà tempo per riflettere su quanto è successo, e se non avesse bevuto oggi non saremmo qui. Mi fa specie, e lo sottolineo, che non stata autorizzata l’Arma a costituirsi parte civile. Mi farò portavoce al ministro della Difesa”. E infatti nel processo l’Arma non si è potuta costituire. La presidenza del Consiglio dei ministri non l’ha autorizzato, su parere dell’Avvocatura. Ma ieri mattina il comandante provinciale dei carabinieri colonnello Paolo Storoni ha voluto essere presente fuori dal Tribunale dove ha incontrato la compagna di Anzini, la sorella e la figlia.
Tornando a quella sera di giugno, secondo quanto ricostruito dall’indagine Matteo Colombi, che aveva riavuto la patente solo da tre mesi (ora gli è stata revocata di nuovo) per guida in stato di ebbrezza, per cui a dicembre era stato denunciato per omissione di soccorso, alle 2.57 all’altezza del distributore Erg di via Padre Albisetti, la Provinciale che da Presezzo conduce a Sotto il Monte, aveva notato una pattuglia dei carabinieri a un posto di blocco che stava restituendo i documenti al conducente di una vettura.
L’appuntato Emanuele Anzini, vedendo l’Audi di Colombi, intimò l’alt. Consapevole di aver bevuto, il cuoco aveva proseguito la marcia senza nemmeno frenare e travolgendo il carabiniere. Per l’appuntato, che avrebbe compiuto 42anni il giorno dopo, non c’era stato nulla fare.
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Travolse il carabiniere, 9 anni. “Perdonatemi”. “Per ora no”
In aula l’imputato incrocia lo sguardo della figlia dell’appuntato. L’Arma esclusa, ma il comandante provinciale arriva in tribunale
Si è voltato e ha incrociato lo sguardo di Sara, la figlia diciannovenne dell’appuntato scelto Emanuele Anzini. Forse, Manco Colombi Manzi voleva dirlo a lei, soprattutto. Alla ragazza a cui ha portato via il padre, travolgendolo a un posto di controllo a Terno d’Isola, alle 3 della notte del 17 giugno 2019. In udienza preliminare ha preso coraggio e ha parlato: «Vivrò tutta la vita con questo peso, una sofferenza che mi porto tutti i giorni. Non mi perdonerò mai, spero che con il tempo possano farlo i parenti».
Porta un fardello indipendentemente dalla condanna decisa ieri dal giudice dell’udienza preliminare Massimiliano Magliacani: nove anni di carcere, otto per omicidio stradale aggravato dalla guida in stato di ebbrezza e uno per omissione di soccorso, quattro mesi in meno della richiesta del pm Raffaella Latorraca che ha negato le attenuanti generiche. Per Sara Anzini, però, è troppo presto per compiere il passo invocato dall’imputato: “Quella notte ha scelto deliberatamente di bere e ha scelto di mettersi alla guida. Queste sue scelte non posso perdonarle, almeno per adesso”.
In questa tragedia c’è sopratutto chi ha perso un caro, ma anche chi l’ha tolto ad altri. Diversi, ma sempre di dolori si tratta. In tribunale è arrivato un pezzo della vita del carabiniere, 41 anni, di Sulmona. La compagna Susana Pagnotta: “Mi aspetto che Emanuele abbia giustizia. Era energico, solare, un romanticone”, sorride e si commuove insieme prima dell’udienza. La figlia Sara con la mamma Elena.
La sorella Catia: “Per il perdono si vedrà, ho imparato che nella vita mai dire mai. Il mio sole non c’è più quindi anche se la sentenza è esemplare, come dicono gli avvocati, per me sarà sempre buio prché Lele non è più con me”. La sorella è lo specchio della famiglia: “Il nostro dolore è immenso. Questa morte è inaccettabile, anche per l’intera collettività. Questo incidente è l’emblema di come, per alcune persone, il rispetto delle leggi e il rispetto per la vita ed il lavoro degli altri non abbia alcun valore. Questo ragazzo non ha pensato minimamente alle possibili conseguenze del proprio agire, come ci si può mettere alla guida con un tasso alcolemico di quasi 5 volte il consentito e sperare che non accada nulla? L’unico pensiero che ci conforta è la speranza che il sacrificio di Emanuele non resti vano e che la sua morte, avvenuta mentre era in servizio per proteggere tutti noi, richiami le coscienze di tutti coloro che si mettono ogni giorno al volante ad un totale rispetto delle norme e delle forze dell’ordine”.
Con l’avvocato Francesca Pierantoni si è costituita parte civile: le spettano 8o.ooo euro di provvisionale. Lei, la madre Eleonora Pendenza e la compagna dell’appuntato si sono affidale al gruppo Giesse per il risarcimento dei danni. In tribunale sono arrivati anche diversi amici dell’appuntato. C’è anche un’altra famiglia che soffre. Quella dell’imputato, 35 anni, cuoco di Sotto il Monte, che sta seguendo un percorso terapeutico. L’hanno accompagnato il fratello e i genitori.
Dopo la lettura della sentenza, si sono infilati verso l’uscita. In silenzio, con l’avvocato Federico Riva che ha ottenuto l’assoluzione dall’accusa di omissione di soccorso per un tamponamento del 2018 e di resistenza, a Terno. “Farò sicuramente appello, rimango basito dalla costituzione di parte civile delle due associazioni”. Si riferisce all’associazione Familiari vittime della strada e all’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale, con gli avvocati Emilio Perfetti e Roberta Francia, alle quali vanno mille euro.
Per la prima è arrivato il presidente nazionale, Alberto Pallotti: “Noi viviamo l’ergastolo del dolore. Questa nuova legge dà un senso diverso di giustizia. Una pena severa serve anche a far riflettere. Speriamo che questa persona, al termine del suo percorso di giustizia, non sprechi l’occasione. Invece, è una vergogna che non sia stato permesso all’Arma di costituirsi parte civile. Chiederò conto di questo”.
La Presidenza del consiglio dei ministri, su parere dell’Avvocatura, non ha autorizzato la costituzione. L’Arma, però, ha voluto esserci, comunque. Prima dell’udienza, il comandante provinciale dei carabinieri, Paolo Storoni, ha incontrato i familiari fuori dal tribunale. Abbracci e occhi negli occhi. Ha parlato con Sara, in particolare, che sta terminando gli studi e vuole vestire la divisa come il suo “papi”.
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Investì e uccise un carabiniere: 9 anni
L’uomo era ubriaco al volante: non si fermò a un posto di blocco, travolse l’appuntato Emanuele Anzini e fuggì
SULMONA. Ubriaco al volante travolse e uccise un carabiniere impegnato in un servizio di controllo del territorio. Il fatto avvenne a Terno d’Isola, nel Bergamasco, il 17 giugno scorso e a perdere la vita fu l’appuntato scelto Emanuele Anzini, 41 anni originario di Sulmona. Ieri il giudice per le udienze preliminari del tribunale di Bergamo, Massimiliano Magliacani, ha inflitto nove anni di reclusione a Matteo Manzi Colombi, il cuoco all’epoca 34enne che ubriaco al volante non si fermò a quel posto di blocco finendo per travolgere il carabiniere per poi scappare senza neppure prestargli soccorso. Il giudice ha anche disposto a carico dell’imputato la revoca della patente nonché il risarcimento delle parti civili che si sono costituite e che erano presenti in aula.
“La condanna evidentemente severa, seppur accolta con soddisfazione e per quanto possa risultare apparentemente appagante”, ha commentato Sara Anzini, la figlia 19enne del carabiniere ucciso, rimasta in aula fino alla lettura della sentenza, “non lenisce nemmeno in minima parte il profondo dolore che provo per la perdita del mio papà. L’auspicio è che pene così tanto severe”, ha concluso la giovane assistita dall’avvocato del Foro di Sulmona, Armando Valeri, “possano spingere le persone a non mettersi alla guida sotto l’effetto di alcol o di sostanze stupefacenti”.
La madre, la sorella e la compagna convivente della vittima si sono affidate per il procedimento giudiziario a Giesse risarcimento danni, gruppo specializzato in casi di omicidio stradale, con sedi in tutta Italia. Per la sorella Catia, assistita dall’avvocato Francesca Pierantoni, “la famiglia ha vissuto e continua a vivere un dolore immenso. Questa morte è inaccettabile”, ha commentato la donna, subito dopo la lettura della sentenza. “Inaccettabile per noi familiari di Emanuele, ma anche per l’intera collettività. Questo incidente è l’emblema di come, per alcune persone, il rispetto delle leggi e il rispetto per la vita e il lavoro degli altri non abbia alcun valore. Questo ragazzo non ha pensato minimamente alle possibili conseguenze del proprio agire, come ci si può mettere alla guida con un tasso alcolemico quasi 5 volte più alto di quello consentito e sperare che non accada nulla? L’unico pensiero che ci conforta è la speranza che il sacrificio di Emanuele non resti vano e che la sua morte, avvenuta mentre era in servizio per proteggere tutti noi, richiami le coscienze di coloro che si mettono ogni giorno al volante ad un totale rispetto delle norme e delle forze dell’ordine”.
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