Incidente stradale mortale Bergamo

Il 15 febbraio 2020 molti quotidiani, tra i quali il Corriere della Sera, Il Giorno, Il Centro e L’Eco di Bergamo hanno pubblicato la notizia della condanna a 9 anni di reclusione per il 34enne che investì e uccise il carabiniere Emanuele Anzini.

L’uomo guidava con un tasso alcolemico quasi 5 volte superiore al consentito, forzò un posto di blocco travolgendo l’appuntato scelto Anzini e si allontanò senza prestare soccorso.

I familiari si sono affidati a noi di Giesse Risarcimento Danni.

Investì carabiniere a un posto di blocco. Omicidio stradale, condannato a 9 anni

La sentenza. Cuoco di Sotto il Monte travolse l’appuntato scelto Emanuele Anzini, il 17 giugno 2019 a Terno d’Isola

Risarcimento di 80 mila euro alla sorella della vittima. Lui in aula: «Vivo col rimorso, spero mi perdoni la famiglia»

 

È uscito dal tribunale con gli occhi arrossati, lo sguardo stravolto, avvolto nel giaccone grigio e forse nella voglia di scomparire con cui era entrato quattro ore prima di essere condannato a nove anni per omicidio stradale e omissione di soccorso. Prima di prendere la parola davanti al gup Massimiliano Magliacani e dire d’un fiato la sua verità. «Vivo con questo senso di colpa, non mi perdonerò mai, spero che col tempo lo possano fare i parenti», ha dichiarato graffiando il silenzio dell’aula prima della sentenza.

E alla parola «parenti» l’imputato Matteo Colombi Manzi, 34 anni, cuoco di Sotto il Monte, si è voltato per cercare lo sguardo di Sara, la figlia dell’appuntato scelto Emanuele Anzini, travolto mentre era in servizio a un posto di blocco e ucciso sul colpo dall’Audi A3 di cui lui, Colombi Manzi, era alla guida, con tasso alcolemico cinque volte superiore al consentito, alle 2,45 del 17 giugno scorso.

Il cuoco era fuggito dopo l’impatto, tornando sul luogo del delitto una decina di minuti più tardi. Era accusato di omicidio stradale aggravato dalla guida in stato di ebbrezza, resistenza a pubblico ufficiale per non essersi fermato all’alt intimato dal carabiniere, omissione di soccorso. Nel computo della pena, con sconto di un terzo per il rito abbreviato, il gup Massimiliano Magliacani lo ha ritenuto colpevole di omicidio stradale (8 anni) e omissione di soccorso (1 anno), ritenendo assorbito dal reato principale la resistenza e riconoscendo le attenuanti generiche.

L’omicidio colposo. La sentenza ha accolto in gran parte la richiesta di pena formulata dal pm Raffaella Latorraca, 9 anni e 4 mesi senza la concessione delle attenuanti, in virtù anche di una pregressa condanna per violazione del codice della strada (eccesso di velocità e «fuga» dopo un tamponamento). Ma il nodo della qualificazione giuridica del reato principale, l’omicidio, era già stato sciolto in fase di chiusura d’indagine quando il pm aveva riqualificato l’ipotesi di omicidio volontario in omicidio colposo dopo che gli accertamenti tecnici avevano evidenziato uno scarto dell’Audi verso sinistra a 75 km orari prima dell’impatto.

Insufficiente per evitare di travolgere Anzini, colpito, travolto e scaraventato sull’asfalto a 38 metri di distanza, ma indicativo dell’estremo tentativo di evitarlo messo in atto dal 34 enne. Il cuoco ha sempre sostenuto di non aver visto il posto di blocco dei carabinieri e che il lampeggiante dell’auto dei militari non fosse in funzione. Ma i riscontri investigativi avrebbero dimostrato il contrario: l’appuntato avrebbe indossato il kit d’ordinanza, e i lampeggianti sarebbero risultati in funzione. Tanto che qualche istante prima i militari avevano intimato l’alt a un’altra auto che si era fermata.

«Dolore immenso». Il giudice ha disposto il risarcimento a titolo di provvisionale per 80 mila euro per la sorella di Anzini, Catia, costituita parte civile con l’avvocato Francesca Pierantoni e parte offesa a processo con la figlia Sara, la mamma Eleonora Pendenza e la compagna dell’appuntato, Susana Pagnotta. «In aula si percepiva la sofferenza, una ferita enorme si è riaperta. Anche la vita dell’imputato è distrutta, ma questa è una sentenza giusta», ha commentato l’avvocato Pierantoni.

In serata, tramite una nota dell’agenzia Giesse, è riuscita a rompere il silenzio anche la sorella della vittima, Catia. «Il nostro dolore è immenso. Questa morte è inaccettabile, per noi familiari di Emanuele, ma anche per l’intera collettività. L’unico pensiero che ci conforta è la speranza che il sacrificio di Emanuele non resti vano e che la sua morte, mentre era in servizio, richiami le coscienze di tutti coloro che si mettono al volante a un totale rispetto delle norme e delle forze dell’ordine».

Il gup ha stabilito un risarcimento simbolico di mille euro anche per l’Associazione italiana familiari e vittime della strada (Aifvs) e per l’Associazione sostenitori amici della Polizia Stradale (Asaps), costituite. «Noi vittime della strada abbiamo il nostro ergastolo di dolore, non volevamo vendetta ma giustizia e oggi (ieri, ndr) abbiamo la sensazione che ci sia più giustizia. Questa non è una pena esemplare, ma una giusta pena. Vergognoso che l’Arma dei carabinieri non abbia potuto costituirsi parte civile», ha commentato il presidente nazionale delle vittime della strada Alberto Pallotti.

La difesa: «Faremo appello». «Faremo appello» preannuncia il difensore di Colombi Manzi, l’avvocato Federico Riva, che si è detto «basito dalla costituzione di parte civile delle associazioni», quasi a far da contraltare alle polemiche sul «no» dell’Avvocatura di Stato alla costituzione dell’Arma. Prima dell’udienza la figlia dell’appuntato Anzini, Sara, si è fermata a lungo a colloquio col comandante provinciale dei carabinieri Paolo Storoni.

«La mia presenza qui è il segno della vicinanza reale dell’Arma al dolore enorme di una famiglia», ha spiegato poi il comandante. Ai funerali del papà, Sara, 19 anni, aveva detto di voler diventare carabiniere come suo padre. «Spero che giustizia sia fatta e che il mio papi non muoia una seconda volta», aveva scritto in una lettera al Corriere della Sera.

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Travolse e uccise un carabiniere: condannato

All’aiuto cuoco, che ammazzò il militare guidando ubriaco, inflitti otto anni per omicidio stradale e uno per omessa assistenza

 

È stato condannato a 9 anni, 8 per omicidio stradale e uno per omessa assistenza (l’accusa, pm Raffaella Latorraca, aveva chiesto 9 anni e quattro mesi) Matteo Colombi Manzi, l’aiuto cuoco 35enne di Sotto il Monte che nella notte tra il 16 e il 17 giugno 2019 aveva travolto e ucciso l’appuntato scelto dei carabinieri Emanuele Anzini, 42 anni, originario di Sulmona. In forza al Radiomobile della Compagnia di Zogno, quella sera in servizio a un posto di controllo a Terno d’Isola.

Colombi era al volante della sua Audi A3, guidava ubriaco, cinque volte sopra il limite. Lui ha sempre sostenuto di non avere visto la pattuglia perché distratto e perché i lampeggianti sarebbero stati spenti. E solo dopo diversi chilometri aveva realizzato che forse aveva colpito qualcuno ed era tornato indietro. La sentenza è stata pronunciata ieri dal gup Massimiliano Magliacanl con rito abbreviato, che consente la riduzione di un terzo della pena.

Riconosciuta anche una provvisionale di 80mila euro per i parenti della vittima. Presente in aula l’imputato, assistito dall’avvocato Federico Riva, che ha già annunciato l’appello. Rivolgendosi ai familiari del carabiniere – che si sono affidati a Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato in casi di omicidio stradale – la figlia Sara, la sorella Catia, e la compagna della vittima Susanna Pagnotta (assistiti dall’avvocato Francesca Pierantoni) Colombi ha detto: “Sono distrutto, disperato per quello che è successo. Da quel giorno anche io non vivo più”.

La figlia del militare ha rilasciato questo commento: “Auspico che pene cosi severe possano fare da deterrente affinché in tanti evitino di porsi alla guida sotto l’effetto di alcol e droga”. E prima dell’udienza la compagna del carabiniere, Susanna Pagnotta, ha dichiarato: “Mi aspetto che Emanuele abbia giustizia”.

A processo si sono costituite parti civili anche due associazioni (che hanno avuto un risarcimento di mille euro), quella della Polizia stradale e l’Associazione italiana familiari vittime della strada (Aifvs). Presente il presidente Alberto Pallotti: “Noi non vogliamo vedere persone marcire in carcere, ma siamo per le pene giuste, come questa. Avrà tempo per riflettere su quanto è successo, e se non avesse bevuto oggi non saremmo qui. Mi fa specie, e lo sottolineo, che non stata autorizzata l’Arma a costituirsi parte civile. Mi farò portavoce al ministro della Difesa”. E infatti nel processo l’Arma non si è potuta costituire. La presidenza del Consiglio dei ministri non l’ha autorizzato, su parere dell’Avvocatura. Ma ieri mattina il comandante provinciale dei carabinieri colonnello Paolo Storoni ha voluto essere presente fuori dal Tribunale dove ha incontrato la compagna di Anzini, la sorella e la figlia.

Tornando a quella sera di giugno, secondo quanto ricostruito dall’indagine Matteo Colombi, che aveva riavuto la patente solo da tre mesi (ora gli è stata revocata di nuovo) per guida in stato di ebbrezza, per cui a dicembre era stato denunciato per omissione di soccorso, alle 2.57 all’altezza del distributore Erg di via Padre Albisetti, la Provinciale che da Presezzo conduce a Sotto il Monte, aveva notato una pattuglia dei carabinieri a un posto di blocco che stava restituendo i documenti al conducente di una vettura.

L’appuntato Emanuele Anzini, vedendo l’Audi di Colombi, intimò l’alt. Consapevole di aver bevuto, il cuoco aveva proseguito la marcia senza nemmeno frenare e travolgendo il carabiniere. Per l’appuntato, che avrebbe compiuto 42anni il giorno dopo, non c’era stato nulla fare.

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Travolse il carabiniere, 9 anni. “Perdonatemi”. “Per ora no”

In aula l’imputato incrocia lo sguardo della figlia dell’appuntato. L’Arma esclusa, ma il comandante provinciale arriva in tribunale

 

Si è voltato e ha incrociato lo sguardo di Sara, la figlia diciannovenne dell’appuntato scelto Emanuele Anzini. Forse, Manco Colombi Manzi voleva dirlo a lei, soprattutto. Alla ragazza a cui ha portato via il padre, travolgendolo a un posto di controllo a Terno d’Isola, alle 3 della notte del 17 giugno 2019. In udienza preliminare ha preso coraggio e ha parlato: «Vivrò tutta la vita con questo peso, una sofferenza che mi porto tutti i giorni. Non mi perdonerò mai, spero che con il tempo possano farlo i parenti».

Porta un fardello indipendentemente dalla condanna decisa ieri dal giudice dell’udienza preliminare Massimiliano Magliacani: nove anni di carcere, otto per omicidio stradale aggravato dalla guida in stato di ebbrezza e uno per omissione di soccorso, quattro mesi in meno della richiesta del pm Raffaella Latorraca che ha negato le attenuanti generiche. Per Sara Anzini, però, è troppo presto per compiere il passo invocato dall’imputato: “Quella notte ha scelto deliberatamente di bere e ha scelto di mettersi alla guida. Queste sue scelte non posso perdonarle, almeno per adesso”.

In questa tragedia c’è sopratutto chi ha perso un caro, ma anche chi l’ha tolto ad altri. Diversi, ma sempre di dolori si tratta. In tribunale è arrivato un pezzo della vita del carabiniere, 41 anni, di Sulmona. La compagna Susana Pagnotta: “Mi aspetto che Emanuele abbia giustizia. Era energico, solare, un romanticone”, sorride e si commuove insieme prima dell’udienza. La figlia Sara con la mamma Elena.

La sorella Catia: “Per il perdono si vedrà, ho imparato che nella vita mai dire mai. Il mio sole non c’è più quindi anche se la sentenza è esemplare, come dicono gli avvocati, per me sarà sempre buio prché Lele non è più con me”. La sorella è lo specchio della famiglia: “Il nostro dolore è immenso. Questa morte è inaccettabile, anche per l’intera collettività. Questo incidente è l’emblema di come, per alcune persone, il rispetto delle leggi e il rispetto per la vita ed il lavoro degli altri non abbia alcun valore. Questo ragazzo non ha pensato minimamente alle possibili conseguenze del proprio agire, come ci si può mettere alla guida con un tasso alcolemico di quasi 5 volte il consentito e sperare che non accada nulla? L’unico pensiero che ci conforta è la speranza che il sacrificio di Emanuele non resti vano e che la sua morte, avvenuta mentre era in servizio per proteggere tutti noi, richiami le coscienze di tutti coloro che si mettono ogni giorno al volante ad un totale rispetto delle norme e delle forze dell’ordine”.

Con l’avvocato Francesca Pierantoni si è costituita parte civile: le spettano 8o.ooo euro di provvisionale. Lei, la madre Eleonora Pendenza e la compagna dell’appuntato si sono affidale al gruppo Giesse per il risarcimento dei danni. In tribunale sono arrivati anche diversi amici dell’appuntato. C’è anche un’altra famiglia che soffre. Quella dell’imputato, 35 anni, cuoco di Sotto il Monte, che sta seguendo un percorso terapeutico. L’hanno accompagnato il fratello e i genitori.

Dopo la lettura della sentenza, si sono infilati verso l’uscita. In silenzio, con l’avvocato Federico Riva che ha ottenuto l’assoluzione dall’accusa di omissione di soccorso per un tamponamento del 2018 e di resistenza, a Terno. “Farò sicuramente appello, rimango basito dalla costituzione di parte civile delle due associazioni”. Si riferisce all’associazione Familiari vittime della strada e all’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale, con gli avvocati Emilio Perfetti e Roberta Francia, alle quali vanno mille euro.

Per la prima è arrivato il presidente nazionale, Alberto Pallotti: “Noi viviamo l’ergastolo del dolore. Questa nuova legge dà un senso diverso di giustizia. Una pena severa serve anche a far riflettere. Speriamo che questa persona, al termine del suo percorso di giustizia, non sprechi l’occasione. Invece, è una vergogna che non sia stato permesso all’Arma di costituirsi parte civile. Chiederò conto di questo”.

La Presidenza del consiglio dei ministri, su parere dell’Avvocatura, non ha autorizzato la costituzione. L’Arma, però, ha voluto esserci, comunque. Prima dell’udienza, il comandante provinciale dei carabinieri, Paolo Storoni, ha incontrato i familiari fuori dal tribunale. Abbracci e occhi negli occhi. Ha parlato con Sara, in particolare, che sta terminando gli studi e vuole vestire la divisa come il suo “papi”.

Leggi l’articolo sul sito del Corriere di Bergamo

 

Investì e uccise un carabiniere: 9 anni

L’uomo era ubriaco al volante: non si fermò a un posto di blocco, travolse l’appuntato Emanuele Anzini e fuggì

 

SULMONA. Ubriaco al volante travolse e uccise un carabiniere impegnato in un servizio di controllo del territorio. Il fatto avvenne a Terno d’Isola, nel Bergamasco, il 17 giugno scorso e a perdere la vita fu l’appuntato scelto Emanuele Anzini, 41 anni originario di Sulmona. Ieri il giudice per le udienze preliminari del tribunale di Bergamo, Massimiliano Magliacani, ha inflitto nove anni di reclusione a Matteo Manzi Colombi, il cuoco all’epoca 34enne che ubriaco al volante non si fermò a quel posto di blocco finendo per travolgere il carabiniere per poi scappare senza neppure prestargli soccorso. Il giudice ha anche disposto a carico dell’imputato la revoca della patente nonché il risarcimento delle parti civili che si sono costituite e che erano presenti in aula.

“La condanna evidentemente severa, seppur accolta con soddisfazione e per quanto possa risultare apparentemente appagante”, ha commentato Sara Anzini, la figlia 19enne del carabiniere ucciso, rimasta in aula fino alla lettura della sentenza, “non lenisce nemmeno in minima parte il profondo dolore che provo per la perdita del mio papà. L’auspicio è che pene così tanto severe”, ha concluso la giovane assistita dall’avvocato del Foro di Sulmona, Armando Valeri, “possano spingere le persone a non mettersi alla guida sotto l’effetto di alcol o di sostanze stupefacenti”.

La madre, la sorella e la compagna convivente della vittima si sono affidate per il procedimento giudiziario a Giesse risarcimento danni, gruppo specializzato in casi di omicidio stradale, con sedi in tutta Italia. Per la sorella Catia, assistita dall’avvocato Francesca Pierantoni, “la famiglia ha vissuto e continua a vivere un dolore immenso. Questa morte è inaccettabile”, ha commentato la donna, subito dopo la lettura della sentenza. “Inaccettabile per noi familiari di Emanuele, ma anche per l’intera collettività. Questo incidente è l’emblema di come, per alcune persone, il rispetto delle leggi e il rispetto per la vita e il lavoro degli altri non abbia alcun valore. Questo ragazzo non ha pensato minimamente alle possibili conseguenze del proprio agire, come ci si può mettere alla guida con un tasso alcolemico quasi 5 volte più alto di quello consentito e sperare che non accada nulla? L’unico pensiero che ci conforta è la speranza che il sacrificio di Emanuele non resti vano e che la sua morte, avvenuta mentre era in servizio per proteggere tutti noi, richiami le coscienze di coloro che si mettono ogni giorno al volante ad un totale rispetto delle norme e delle forze dell’ordine”.

Leggi l’articolo sui siti Il Centro e ChietiToday

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