Travolse e uccise madre e figlia. Condannato pirata della strada
Nel tratto dove hanno perso la vita le donne il limite è di 50 km/h, ma l’auto correva a 108. L’uomo ha avuto 8 anni in abbreviato
Otto anni avevano chiesto per lui i Pm e otto anni ha avuto: Emanuele Pelli, panettiere di 35 anni, è colpevole di duplice omicidio stradale e senza lo sconto di pena previsto per il reato avrebbe avuto 12 anni. Ma nel passato, quando le norme erano molto meno severe, avrebbe rischiato di cavarsela con una condanna di livello inferiore.
Così come era avvenuto per un altro panettiere, Pietro Sclafani, che un anno prima di Pelli, il 17 maggio 2015, aveva investito e ucciso in via Libertà la ventottenne Tania Valguarnera, scultrice per passione e impiegata in un call center: lui – che era pure fuggito, come Pelli, senza prestare soccorso alla vittima – se l’era cavata con una condanna a 4 anni.
La sentenza di ieri del Gup Roberto Riggio tiene conto di una serie di circostanze aggravanti evidenziate dai Pm Vincenzo Amico e Felice De Benedittis e dal legale di parte civile, l’avvocato Rita Parla. A partire dalla velocità dell’auto con cui l’imputato travolse e uccise Angela Merenda e la madre Anna Maria La Mantia, di 43 e 63 anni: era di 108 km orari, più del doppio del consentito, il canonico 50 previsto per i centri urbani.
Era ancora più pericolosa, quella velocità assassina, in una strada stretta come via Fichidindia, a Brancaccio. Era di sera, c’era buio, anche se era primavera inoltrata, l’11 Maggio scorso: l’imputato aveva la patente scaduta, l’auto non era assicurata, aveva le gomme consumate e una era il ruotino di scorta.
Eppure correva, Pelli. E dopo avere travolto e ucciso le due povere donne, che uscivano quella chiesa evangelica Dio con noi, da loro frequentata il venerdì sera, assieme ad altri fedeli, scappò, facendo perdere le proprie tracce. I vigili urbani trovarono la Punto celeste di Pelli posteggiata in via Hazon e i carabinieri lo rintracciarono parecchie ore dopo l’incidente.
Non appena venne arrestato, iniziò a manifestare un pentimento decisamente tardivo. Anche per questo i familiari delle vittime, che pure saranno risarciti, non sono soddisfatti dell’entità della pena, anche il Gup Riggio ha inflitto sostanzialmente il massimo possibile: l’omicidio stradale, entrato in vigore il 25 marzo 2016, è infatti oggi più pesante dell’omicidio colposo, reato che venne applicato – ad esempio – a Sclafani, condannato a una pena esattamente dimezzata rispetto a Pelli per la morte della povera Valguarnera.
Nella motivazione della sentenza di condanna il giudice Daniela Vascellaro aveva tra l’altro ipotizzato che il panettiere, in via Libertà, si fosse distratto col cellulare, mentre era alla guida del suo furgoncino Fiat Doblò. Oggi per quel fatto la pena sarebbe stata certamente più alta. L’ottica dei familiari di chi ha subìto una perdita come quella di due donne, entrambe madri di figli (piccoli quelli della Merenda), è comunque diversa dalla logica e dalla lettera della legge, per severa che sia: la nostra vita è distrutta – sintetizzano i parenti, fra otto anni l’imputato avrà pagato il suo debito e questa non è giustizia.
Di avviso parzialmente diverso Diego Ferraro e Ivan Greco, responsabili delle sedi siciliane di Giesse Risarcimento Danni, a cui si sono affidati gli stessi familiari: “Giustizia è stata fatta – commentano -. Nessuno potrà riportare i propri cani Annamaria e Angela ma quantomeno, grazie alle nuove pene introdotte con il reato di omicidio stradale, chi ha causato questa tragedia pagherà davvero con il carcere.
La richiesta di pena era stata formulata dai Pm Vincenzo Amico e Sergio De Benedittis. Pelli, sposato e padre di due figli, la sera dell’omicidio aveva bevuto birra. Aveva la patente scaduta da tre anni e non l’aveva rinnovata. Le due donne, cristiane evangeliche, camminavano in una strada che era al buio, e questo non era colpa dell’automobilista. Ma proprio quella situazione ambientale avrebbe dovuto indurlo ad essere ancora più prudente.
Lui invece non lo fu nemmeno un po’: la perizia fatta eseguire da Procura e parti civili aveva dimostrato che la velocità eccessiva era stata la principale causa del duplice delitto. I testimoni avevano negato che l’auto avesse rallentato, tesi sostenuta dall’imputato, che aveva addirittura detto di essersi fermato per rendersi conto dell’accaduto e subito dopo di essere scappato per paura e perché aveva perso la testa. Tesi per nulla credibili, secondo il giudice. Angela Merenda era morta sul colpo, la figlia Anna Maria La Mantia poco prima di arrivare in ospedale.
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